Amici da sempre

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Ardesia dipinta a olio

mercoledì 24 agosto 2011

Ricetta del"Sarago grigliato"pescato dalla sottoscritta, in una sera d'Estate nelle acque del favoloso Mar Ligure

  

Sarago di hg 2,50 pescato dalla sottoscritta nelle acque liguri e cotto alla griglia. La  nonna Giovanna mi  ha insegnato la ricetta per condirlo, mettere in un bicchiere un cucchiaio di olio, uno di aceto, un pizzico di  sale e pepe nero, sbattere il tutto con la forchetta e distribuirlo sul pesce.
Ricordate che il pesce cotto alla griglia (che deve essere già caldissima con sopra un pizzico di sale), non va mai squamato!
Il mio caro papà che era un bravissimo pescatore hobbista, mi ha insegnato che il pesce alla griglia è cotto a puntino, quando si alza la coda .

sabato 13 agosto 2011

Buongiorno a tutti ho scoperto che il mio BLOG è molto seguito negli Stati Uniti, sarei molto curiosa di conoscervi, inviatemi una mail

Gilberto Govi

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

« Essere riuscito a far amare il dialetto genovese: questo è il mio vanto »

(Gilberto Govi)
Gilberto Govi
Gilberto Govi, nome d'arte di Amerigo Armando Gilberto Govi (Genova, 22 ottobre 1885Genova, 28 aprile 1966), è stato un attore italiano. Fondatore del teatro dialettale genovese, è considerato uno dei simboli della città della Lanterna.
Tra i suoi maggiori successi figurano classici di questo genere teatrale, diventati suoi cavalli di battaglia come I manezzi pe majâ na figgia, Pignasecca e Pignaverde, Colpi di timone. Inoltre, si devono ricordare anche Quello buonanima, Gildo Peragallo, ingegnere, I Guastavino ed i Passalacqua e Sotto a chi tocca.

giovedì 11 agosto 2011

Ricetta "Patate e funghi al forno"

Settembre tempo di funghi, provate questa  ricetta buonissima.

Porcino

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Tossico
"Porcino" è il nome comune di alcune specie di funghi del genere Boletus, spesso attribuito, anche come denominazione merceologica, a quattro specie di boleti (la sezione Edules del genere Boletus) facenti capo al Boletus edulis ed aventi caratteristiche morfologiche e organolettiche vagamente simili.
Qualche micologo è arrivato a farne dodici specie diverse, discriminando a seconda degli ambienti di nascita, gli alberi simbionti, i caratteri microscopici e macroscopici (forma, colorazione e proporzioni del corpo fruttifero).
Ma le specie codificate dalla micologia corrente e che gli esperti sono in grado di riconoscere a prima vista per le loro caratteristiche esteriori chiaramente diverse, sono quattro:
  • Boletus edulis, Bulliard: Fries
    Nomi popolari: brisa, bastardo, fungo di macchia, moccicone, settembrino
  • Boletus aereus, Bulliard: Fries
    Nomi popolari: bronzino, fungo nero, fungo di scopa, moreccio, scopino, reale (Sardegna)
  • Boletus aestivalis (ex reticulatus), (Paulet) Fries
    Nomi popolari: ceppatello, estatino, fungo bianco, stataiolo
  • Boletus pinophilus (ex pinicola), Pilát & Dermek
    Nomi popolari: capo rosso, fungo da freddo, porcino dei pini.
Porcini

 Descrizione

Dai boschi di querce e di castagno della pianura, alle faggete e abetaie di alta montagna. Si tratta di funghi simbionti, gregari, che possono svilupparsi in gruppi di molti esemplari.
Gli antichi Romani chiamavano questi funghi Suillus per il loro aspetto generalmente tozzo e massiccio, ed il termine porcino ne è l'esatta traduzione. Possono raggiungere facilmente grandi dimensioni: non sono infrequenti ritrovamenti di esemplari di peso superiore a uno o due chilogrammi.


Porcini venduti essiccati
Fritto di porcini

 Gambo

Robusto carnoso, dapprima tozzo, poi slanciato, spesso ingrossato alla base.
Da bianco a color beige. Con reticolo più o meno esteso, dapprima chiaro, poi tendente ad assumere le tonalità di colore del cappello. Commestibilità
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Eccellente.
Alcuni fanno distinzioni a seconda del profumo o della consistenza della carne. Nel complesso però le differenze sono minime.
In generale si può dire che B. aereus e B. aestivalis hanno gusto e profumo più marcati, ma carne meno soda. Mentre B. edulis e B. pinophilus sono meno saporiti ma più sodi e quindi molto adatti per la conservazione sott'olio

martedì 9 agosto 2011

Il basilico ingrediente base del "Pesto genovese", salsa tipica ligure per condire la pasta

Se siete interessati a questa ricetta, sarò lieta di scambiarla con una delle vostre.

Me la potete inviare a questo indirizzo mail :

deborah@idee-arte.com 

Autorizzandomi a pubblicarla anche su questo BLOG

Utilizzo in cucina

Ricetta del "Pesto" tratta dalla vecchissima  LA VERA CUCINIERA GENOVESE, chi volesse la ricetta,  più un piccolo segreto che ci tramandiamo in famiglia per renderlo ancora più buono, può conttattarmi alla mia mail  
deborah@idee-arte.com


 
Un mazzetto di basilico in cucina
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Il basilico è l'ingrediente base del pesto genovese, salsa tipica della cucina ligure, insieme ai pinoli e all'olio di oliva.
Come erba aromatica fresca si usa per le insalate, con pomodori maturi, le zucchine, l'aglio, i frutti di mare, il pesce (triglia), le uova strapazzate, il pollo, il coniglio, l'anatra, le insalate di riso, le zuppe, la pasta e per le salse (salsa di pomodoro, vinaigrette).
Il basilico è difficile da abbinare ad altre erbe aromatiche come il prezzemolo, il timo e il rosmarino.
Si utilizza preferibilmente crudo perché non tollera le lunghe cotture che ne fanno rilasciare molecole cancerogene, estragone ed estragolo, e ne attenuano il profumo. Nelle pietanze calde, va aggiunto appena prima di servirle per conservare un sapore vivo e fresco. In frigorifero si può conservare al massimo per due giorni, bene avvolto in un canovaccio da cucina. Da secco perde completamente il suo profumo, conviene piuttosto congelarlo. Lo si può pestare in un mortaio per rompere le cellule che contengono l'olio essenziale e per liberare meglio l'aroma.
Il basilico si trova commercializzato in mazzetti, che all'acquisto devono essere turgidi e verdi; può essere anche acquistato in vaso, cosa che ne permette l'utilizzo fino all'autunno.
Il suo olio essenziale è utilizzato per la preparazione di profumi e liquori; dalla distillazione della pianta fresca si ottiene un'essenza contenente eucaliptolo ed eugenolo.

 Storia e cultura

Gli antichi egizi e i greci lo utilizzavano per le offerte sacrificali, ritenendolo di buon auspicio per l'aldilà.
Viene citato da Plinio il Vecchio - che attribuisce alla pianta capacità di generare stati di torpore e pazzia.[5]
I Galli coltivavano il basilico[senza fonte] a luglio/agosto finché in fiore. Chi raccoglieva questa pianta sacra doveva sottoporsi a rigidi rituali di purificazione: lavarsi la mano con cui si doveva raccogliere nell'acqua di tre sorgenti diverse, rivestirsi di abiti puliti, tenersi a distanza dalle persone impure (ad esempio, le donne durante il periodo delle mestruazioni) e non utilizzare attrezzi in metallo per tagliare i fusti.
Il basilico era considerato una pianta sacra in quanto lo si riteneva capace di guarire le ferite, come quelle di archibugio; era quindi un ingrediente, insieme ad altre 16 erbe, dell'acqua vulneraria, usata un tempo per applicazioni esterne.
Elisabetta da Messina, eroina del Decamerone di Boccaccio, seppellì la testa del suo amante in un vaso di basilico annaffiandolo con le sue lacrime.
Nelle miniature dei manoscritti del Medioevo, il basilico è il simbolo dell'odio e di Satana. Il folklore ebraico suggerisce che dia forza durante il digiuno. Una leggenda africana sostiene che il basilico protegge contro gli scorpioni.
Il basilico sacro (Ocimum tenuiflorum) è una pianta venerata in molte tradizioni della religione hindu
Basilico (Ocimum Basilicum) - 4 mazzetti di foglie di basilico fresco
Il Basilico deve essere quello che presenta i requisiti qualitativi e varietali previsti dal Disciplinare che regola il corretto uso della denominazione "basilico genovese", sia utilizzato direttamente, sia in alternativa quale componente di un semilavorato composto da basilico genovese, fresco o conservato, olio extravergine di oliva di produzione ligure o ottenuto in regioni italiane contigue.

Olio extravergine di oliva - 1 bicchiere
Deve essere di origine ligure o prodotto in regioni italiane contigue e deve corrispondere ai requisiti del regolamento 796/02/ CEE.

Formaggio grattugiato - 3 cucchiai di parmigiano e 3 di pecorino
Deve appartenere alle tipologie DOP "Parmigiano Reggiano" o "Grana Padano" o alla tipologia "Pecorino" (romano, toscano, sardo o siciliano).

Aglio - 2 spicchi
Quello tradizionalmente utilizzato.

Pinoli - 1 cucchiaio
Ottenuti da Pinus pinea devono essere prodotti nell'area mediterranea.

Noci (facoltative)
Ottenute da "Juglans regia" devono essere di origine europea

Sale grosso - qualche grano
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Per fare il vero Pesto alla genovese occorrono un mortaio di marmo e un pestello in legno, tanta diligenza e pazienza.

La prima ricetta scritta del pesto che ci è giunta risale alla metà dell'800 e da allora, salvo sbrigative profanazioni nella tecnica d'esecuzione, non è cambiata. Per prima cosa bisogna lavare in acqua fredda quattro mazzi di basilico, naturalmente genovese, e poi metterli ad asciugare su un canovaccio, nel frattempo nel mortaio si deve pestare uno spicchio ogni trenta foglie di basilico, la ritualità sta anche nelle dosi.

L'aglio deve essere dolce, non deve prevalere pur facendosi sentire nel sottofondo…insomma non può mancare! E non deve mancare neppure il sale grosso, aggiungetene qualche grano. A questo punto, ma non tutte insieme (sono merce preziosa non erbetta qualunque!), vanno aggiunte le foglioline e si inizia con un dolce movimento rotatorio e prolungato a pestarle nel mortaio.

Ricordatevi che gli oli essenziali del basilico sono conservati nelle venuzze delle sue foglie e che per ottenere il miglior gusto, bisogna non pestare gravemente ma ruotare leggermente il pestello in modo da stracciare, non tranciare, le profumate foglioline. Il suono del pestello di legno contro i bordi del mortaio accompagnerà il nostro lavoro.

Quando il basilico stilerà un liquido verde brillante sarà il momento di aggiungere i pinoli, una manciata. I pinoli che ammorbidiranno e amalgameranno la salsa, le regaleranno quel bouquet gentile che fa da contraltare all'aglio, sono un di più, il tocco d'artista. Quelli di qualità migliore sono nazionali e, naturalmente, sono più cari, ma in questa occasione vogliamo sfatare il mito della parsimonia dei genovesi e sceglieremo per il meglio, d'altronde i pinoli sono presenti in tutte le nostre ricette importanti.

E' giunto il momento dei formaggi: parmigiano reggiano e pecorino sardo, entrambi DOP, adeguatamente stagionati. Ed infine l'olio extravergine d'oliva, versato a goccia, naturalmente italiano dal sapore non particolarmente aggressivo, non particolarmente intenso, ideale per sposare tutti gli ingredienti senza sopraffarli.

Un'ultima raccomandazione:
la lavorazione deve avvenire a temperatura ambiente e deve terminare nel minor tempo possibile per evitare problemi di ossidazione. A questo punto il pesto è pronto e può essere utilizzato per condire le troffie, le trofiette, le trenette avvantaggiae, i mandilli de saea, veri must della nostra cucina, e perfezionare il minestrone.

Oggi, nell'era della fretta, per fare il pesto si usa anche il frullatore, ma la migliore soluzione è sempre quella... "all'antica" !!!
Si ringrazia per questa ricetta,  da me provata, direi la migliore
Fonte: www.mangiareinliguria.it  
 

lunedì 8 agosto 2011

Ricetta del "polpettone di Luisa"

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Lanterna di Genova

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera

 La Lanterna nel Medioevo


Una delle stampe raffiguranti le due Lanterne (1490 circa).
La prima torre risale all'epoca medioevale (1128) ed era caratterizzata da una struttura architettonica formata da tre tronchi merlati. La strada di collegamento tra Genova ed il ponente, la Via di Francia, costeggiava l'arco portuale ed il Promontorio, probabilmente passando in origine a picco sul mare. Le rappresentazioni grafiche della strada la descrivono invece in una veste più recente, sicuramente non anteriore al XVII secolo, passante all'interno del faro attraverso la cosiddetta "tagliata", una profonda trincea scavata a monte della Lanterna.
A livello urbanistico la Lanterna era in quel periodo quindi relativamente lontana dalla città, e solo nel XVII secolo venne inglobata nella cosiddetta Cerchia Seicentesca, la poderosa cerchia di mura lunga quasi diciannove chilometri attorno alla città, quasi interamente esistente ancora ai nostri giorni.
Sulla sommità venivano accesi steli secchi di erica ("brugo") o di ginestra ("brusca") allo scopo di segnalare le navi in avvicinamento, i cui padroni dovevano pagare una tassa "pro igne facendo in capite fari"[5] al momento dell'approdo. La torre diventò protagonista della guerra tra Guelfi e Ghibellini, quando venne danneggiata da questi ultimi che tentarono di far scendere i guelfi che vi si erano rifugiati all'interno.
Era il 1318 e, tre anni dopo, nel 1321, si procedette ad un primo consolidamento scavando un fossato a difesa. Nel 1326 venne installata la prima lanterna alimentata ad olio di oliva per aiutare le navi a bene individuare l'ingresso alla città. Con lo stesso scopo vi venne dipinto nel 1340 lo stemma del comune di Genova. Attorno al 1400 la torre diventò anche prigione per ospitare come ostaggi, per cinque anni, il re di Cipro, Giacomo di Lusignano, qui rinchiuso assieme alla moglie.
Nel 1405 i sacerdoti guardiani della Lanterna posero sulla cupola un pesce ed una croce di metallo dorato, simbolo di cristianità. Nel 1413 un decreto dei "Consoli del Mare" stanziò un fondo di "lire 36" per assicurare la gestione del faro, divenuto ormai indispensabile per la sicurezza della navigazione. Nel 1449 tra i custodi della lanterna venne nominato anche Antonio Colombo zio paterno di Cristoforo Colombo.

 La ricostruzione del 1543

Nel 1507 ai piedi della Lanterna venne edificato il "Forte Briglia", una fortificazione che ospitava una guarnigione francese. Da qui, e da un vascello da guerra che bloccava il traffico navale, nel 1513 i francesi assediarono il porto di Genova, che venne liberato dalle forze genovesi capitanate da Andrea Doria, comandante del porto e della flotta. Durante questa battaglia la Lanterna venne pesantemente danneggiata dal fuoco amico dei colpi di bombarda esplosi dagli insorti genovesi contro i dominatori francesi. Dopo trent'anni, nel 1543, la Lanterna venne ricostruita per volontà del doge Andrea Centurione Pietrasanta che fece finanziare il lavori dal Banco di San Giorgio, ed assunse così l'aspetto attuale.

 Il fuoco di Luigi XIV e le innovazioni del Risorgimento


La Lanterna in un'acquatinta del 1810 ca. di Ambroise-Louis Garneray.
Nel 1692 si ebbe poi la ricostruzione della vetrata distrutta dal bombardamento del 1684 voluto dall'ammiraglio francese Marchese di Segnalay per ordine di re Luigi XIV.
Al 1778 risale la costruzione di un impianto antifulmine destinato a mettere fine ai numerosi danni provocati dai fulmini nell'arco di diversi secoli. Va detto che per secoli l'illuminazione è avvenuta con lampade di metallo o di vetro a stoppino.
Nel 1840 venne realizzata un'ottica rotante su carro a ruote con lente di Fresnel e il 15 gennaio del 1841 venne acceso ed avviato il nuovo sistema di illuminazione.
Verso la fine dell'Ottocento tale sistema venne però modificato per aumentarne la portata. Dopo un ulteriore aggiornamento nel 1913, nel 1936 si ebbe il passaggio alla elettrificazione moderna, fino agli ultimi lavori compiuti nel 1956 dopo i danni ricevuti dall'aviazione statunitense e britannica nella Seconda guerra mondiale.

sabato 6 agosto 2011

Ricetta della "Crostata di ricotta di Lina"


Ricetta di Lina  della crostata ripiena di ricotta 
3 hg di farina
3 tuorli d'uovo
7 cucchiai di zucchero
1 hg e mezzo di burro
mezzo bicchiere di latte 
1 bustina di lievito
RIPIENO
4 o 5 hg di ricotta,
7 cucchiai di zucchero
cioccolato tritato, 
o  4 pesche sciroppate a pezzettini
dopo avere preparato la pasta della crostata, 
stenderla in una teglia e coprirla con il ripieno di ricotta, 
zucchero e cioccolato tritato  (circa una tavoletta ).
Infornare a 180 ° per 35 minuti.






venerdì 5 agosto 2011

Ricetta dello"Sciroppo di rose"

Ricetta dello "Sciroppo di rose " (naturalmente si usano i petali di rose profumate da sciroppo).  Mettere in infusione per 24 ore in litro di acqua bollente , 1 kg di petali  di rose e il succo di 5 o 6 limoni .Spremere bene il tutto e nel liquido ottenuto sciogliere 1 kg di zucchero, fare bollire per 5 minuti  e lasciare raffredare.

Ricetta dello "Stoccafisso accomodato con patate"

Ricetta dello stoccafisso alla ligure (accomodato)
Fare rosolare in pentola con  mezzo bicchiere di olio extravergine di oliva, prezzemolo e aglio, cipolla,  pinoli, capperi, olive liguri (taggiasche).
Aggiungere le patate tagliate a pezzi e fare cuocere coprendo con acqua e un pò di sale.
Aggiungere lo stoccafisso senza spine e fare cuocere per alcuni minuti.

Stoccafisso

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.





Regioni Liguria

Dettagli
Categoria secondo piatto
Riconoscimento P.A.T.
Settore Preparazioni di pesci
Altre informazioni Lo Stocco di Mammola e lo Stocco alla ghiotta sono preparazioni a base di stoccafisso inserite nell'elenco di prodotti agroalimentari tradizionali italiani

Gadus morhua, merluzzo artico norvegese

Stoccafisso in vendita
Lo stoccafisso (o stocco in alcune zone dell'Italia meridionale) è merluzzo artico norvegese (Gadus morhua) conservato per essiccazione. La tecnica è tuttavia adatta anche per altre specie di pesce dalle carni bianche.
L'origine del nome deriva probabilmente dalla cittadina norvegese di Stokke. Secondo alcuni però potrebbe derivare dal norvegese stokkfisk oppure dall'olandese antico stocvisch, ovvero "pesce a bastone", secondo altri dall'inglese stockfish, ovvero "pesce da stoccaggio" (scorta, approvvigionamento); altri ancora sostengono che pure il termine inglese sia mutuato dall'olandese antico, con lo stesso significato di "pesce bastone".[1]
Simile al baccalà nell'aspetto, lo stoccafisso ha un sapore completamente diverso e si differenzia dal primo, che viene invece conservato mediante salatura. Nell'Italia settentrionale (in particolare nell'area della dominazione veneziana dove fu inizialmente introdotto) lo stoccafisso assume tuttavia il nome di bacalà, tanto che il rinomato baccalà alla vicentina è in effetti preparato con lo stoccafisso[2]; nell'Italia meridionale viene invece chiamato stocco o pesce stocco (piscistoccu).

mercoledì 3 agosto 2011

Ricetta dei" Krapfen" (frittelle)

Krapfen

Da più di quarantanni nel mese di  Dicembre, arriva il Lunapark a Genova,  località Foce inizio di Corso Italia. Chi passasse da quelle parti, può sentire nell'aria il profumo dei Krapfen,  buonissime frittelle   ricoperte di zucchero che vengono preparate e vendute dagli ambulanti nei camion negozio del Luna-Park.Si mangiano caldissime!


martedì 2 agosto 2011

Ricetta della "Cima" tratta dalla canzone di Fabrizio De Andrè

CIMA ALLA GENOVESE 

INGREDIENTI (per 6 persone)
1 kg. di pancia di vitello, 6 uova, 2 cucchiai di pinoli, parmigiano grattugiato, manciata di funghi secchi, maggiorana, una carota, mezzo spicchio d'aglio, 1 bicchiere di latte, 40 gr. di piselli, 1 cipolla, olio extravergine d'oliva, mollica di 2 panini, 1 bicchiere di vino bianco, sale.

PREPARAZIONE
Dal macellaio potete farvi preparare il pezzo di pancia di vitello cucito con filo bianco in modo da ottenere una sacca rettangolare con aperto uno dei due lati pi corti. Controllate che non ci siano perdite riempiendola d'acqua. Poi svuotatela e lasciatela asciugare.
 Mettete un po' d'olio in una grossa terrina e fate rosolare un trito di cipolle e carota. Unitevi i piselli sgranati, i funghi (che avrete precedentemente ammollato in acqua tiepida), i pinoli, l'aglio tritato, la maggiorana, le uova precedentemente sbattute, la mollica di pane bagnata nel latte ed il parmigiano. Mescolate accuratamente con un cucchiaio di legno senza fare troppa pressione per non schiacciare gli ingredienti. Salate secondo gusto. Unite in vino bianco e fate cuocere fino a che il vino non è evaporato.
Servendosi di un mestolo riempire la sacca di vitella con il composto appena preparato. Cucite il lato rimasto aperto. Mettete sul fuoco una grossa pentola piena d'acqua salata con una cipolla intera, una costa di sedano e una carota intera. Quando l'acqua tiepida immergervi la CIMA (la sacca ripiena di carne). Fare bollire a fuoco medio facendo cuocere per circa due ore, coprendo a 3/4 la pentola con un tegame. E' molto importante ricordarsi di tanto in tanto di forare la sacca con un grosso spillo onde evitare che cocendo si gonfi e si spacchi.
A cottura terminata estrarre la cima e lasciarla raffreddare in un piatto. Coprirla con un'altro piatto. Porre un tagliere sopra il piatto ed eventualmente un altro peso così che la cima con il peso possa far fuoriuscire l'eventuale brodo che ha assorbito durante la cottura. Una volta raffreddata ponete la cima su un tagliere di legno e tagliatela a fette di circa 1 cm.
  Ardesie dipinte a olio, omaggio a Fabrizio De Andrè

‘A ÇIMMA
Ti t’adesciàe ‘nsce l’èndegu du matin
ch’à luxe a l’à ‘n pè ‘n tera e l’àtru in mà
ti t’ammiàe a ou spègiu de ‘n tianin
ou cé ou s’ammià on spègiu dà ruzà
ti mettiàe ou brùgu rèdennu’nte ‘n cantùn
che se d’à cappa a sgùggia ‘n cuxin-a stria
a xeùa de cuntà ‘e pàgge che ghe sùn
‘a cimma a l’è za pinn-a a l’è za cùxia
Cè serèn tèra scùa
carne tènia nu fàte nèigra
nu turnà dùa
Bell’oueggè strapunta de tùttu bun
prima de battezàlu ‘ntou prebuggiun
cun dui aguggiuìn dritu ‘n pùnta de pè
da sùrvia ‘n zù fitu ti ‘a punziggè
àia de lùn-a vègia de ciaèu de nègia
ch’ou cègu ou pèrde ‘a tèsta l’àse ou sentè
oudù de mà misciòu de pèrsa lègia
cos’àtru fa cos’àtru dàghe a ou cè
Cè serèn tèra scùa
carne tènia nu fàte nèigra
nu turnà dùa
e ‘nt’ou nùme de Maria
tùtti diài da sta pùgnatta
anène via
Poi vegnan a pigiàtela i càmè
te lascian tùttu ou fùmmu d’ou toèu mestè
tucca a ou fantin à prima coutelà
mangè mangè nu sèi chi ve mangià
Cè serèn tèra scùa
carne tènia nu fàte nèigra
nu turnà dùa
e ‘nt’ou nùme de Maria
tùtti diài da sta pùgnatta
anène via.
LA CIMA (traduzione)

Ti sveglierai sull’indaco del mattino
quando la luce ha un piede in terra e l’ altro in mare
ti guarderai allo specchio di un tegamino
il cielo si guarderà allo specchio della rugiada
metterai la scopa dritta in un angolo
che se dalla cappa scivola in cucina la strega
a forza di contare le paglie che ci sono
la cima è già piena è già cucita.
Cielo sereno terra scura
carne tenera non diventare nera
non ritornare dura
Bel guanciale materasso di ogni ben di Dio
prima di battezzarla nelle erbe aromatiche
con due grossi aghi dritti in punta di piedi
da sopra a sotto svelto la pungerai
aria di luna vecchia di chiarore di nebbia
che il chierico perde la testa e l’asino il sentiero
odore di mare mescolato a maggiorana leggera
cos’altro fare cos’altro dare al cielo.
Cielo sereno terra scura
carne tenera non diventare nera
non ritornare dura
e nel nome di Maria
tutti i diavoli da questa pentola
andate via
Poi vengono a prendertela i camerieri
ti lasciano tutto il fumo del tuo mestiere
tocca allo scapolo la prima coltellata
mangiate mangiate non sapete chi vi mangerà.
Cielo sereno terra scura
carne tenera non diventare nera
non ritornare dura
e nel nome di Maria
tutti i diavoli da questa pentola
andate via

lunedì 1 agosto 2011

Ricetta della "Salsa verde"

Abbadino dipinto da Deborah Alcaras (tegola di ardesia che copriva i tetti della città di Genova)
Ricetta della salsa verde  
Ingredienti:
1 mazzo di prezzemolo grande
  1 tazzina da caffè di olio extravergine d'oliva
1 spicchio d'aglio, sale
1h di mollica di pane bagnata nell'aceto e poi strizzata
1 uovo sodo
2 filetti di acciughe salate
7 capperi 
Togliere tutte le foglioline dal mazzo di prezzemolo e tritarle finemente con tutti gli altri ingredienti
facendo diventate il composto simile a una crema  
coprire con un filo d'olio
Si accompagna molto bene con i bolliti di carne e pesce lesso